Sommario
L’amniocentesi è un esame invasivo di diagnosi prenatale che consiste nel prelievo di liquido amniotico mediante un ago inserito nella parete addominale e nell’analisi delle cellule in esso contenute.
A cosa serve? A individuare eventuali anomalie genetiche del feto.
Cosa rileva? È lo strumento più affidabile per la diagnosi di alterazioni correlate a patologie quali le sindromi di Down, di Klinefelter o dell’X fragile e malattie genetiche come la fibrosi cistica.
È raccomandata quando sono presenti fattori di rischio specifici, ma su base non obbligatoria.
In quanto tempo si ottengono i risultati? Circa 3 settimane.
A quante settimane viene effettuata l’amniocentesi? A 16-18 settimane di gravidanza (fase precoce), oppure dopo la 25° (fase tardiva) per verificare il grado di maturità del feto in vista di un parto anticipato.
Fra i rischi associati, comuni alla villocentesi e minimi se l’esame è effettuato da un operatore esperto, anche l’aborto spontaneo: ad oggi non sono disponibili alternative non invasive altrettanto affidabili.
L’esame è gratuito nell’ambito del SSN per le donne sopra i 35 anni, mentre nelle strutture private il costo medio è 700 € circa.
Non è doloroso, ma sono consigliati 3-4 giorni di riposo dopo la sua esecuzione.
Cos’è l’amniocentesi
È l’esame più collaudato e affidabile per monitorare lo stato di salute del feto e diagnosticare durante la gravidanza eventuali anomalie cromosomiche e alterazioni congenite.
Consiste nel prelievo di un volume limitato del liquido amniotico e nella successiva analisi genetica delle cellule in esso contenute.
L’amniocentesi molecolare
L’analisi delle cellule prelevate con la metodica tradizionale richiede circa 2 settimane (14-18 giorni). Sono disponibili tecniche rapide (amniocentesi molecolare) che forniscono risultati in 48-72 ore, ma che possono produrre dati solo per quanto riguarda alcune specifiche anomalie (le trisomie 13, 21 e 18).
Cos’è il counselling prenatale
Lo studio della mappa cromosomica del feto (detto cariotipo) e la ricerca di specifici difetti genetici (analisi molecolare) rappresentano strumenti indispensabili nell’ambito del counselling prenatale per diagnosticare l’eventuale presenza di anomalie per una gravidanza già in atto e valutare, con una consulenza genetica specifica, il rischio riproduttivo futuro della coppia.
Cosa si vede
L’amniocentesi consiste nel prelievo di una piccola quantità di liquido amniotico, il fluido che circonda e protegge il feto nell’utero e nel quale galleggiano cellule desquamate cutanee e mucose che provengono dal feto e che vengono dette amniociti.
La successiva analisi di laboratorio di queste cellule permette di ricostruire la mappa cromosomica del feto e individuare eventuali alterazioni genetiche correlate a patologie.
Uno dei punti di maggiore importanza riferibili all’amniocentesi è rappresentato dalla sua invasività, responsabile dei rischi correlati all’esame. Ad oggi, malgrado le possibili conseguenze, non esistono alternative non invasive altrettanto affidabili nella diagnosi dei difetti genetici del feto.
Il fatto che questa procedura non rappresenti un passaggio obbligato ma sia eseguita solo su base volontaria in casi specifici comporta necessariamente una riflessione preventiva, che deve prendere in considerazione l’eventuale scelta prevista in caso di rilevazione di anomalie gravi.
Questo aspetto comporta un’assunzione di responsabilità pesante da parte dei genitori, soprattutto della madre.
L’epoca della gravidanza relativamente tardiva nella quale l’esame può essere eseguito rende ancora più difficile la gestione emotiva, perché affrontare un eventuale aborto dopo 16-18 settimane di gestazione è ancora più complesso di quanto non lo sia nelle primissime fasi.
I risultati dell’esame consentono, con un’accuratezza del 99%, di escludere o accertare la presenza di numerose malattie genetiche. È tuttavia importante sottolineare che l’amniocentesi non può rilevare tutte le alterazioni di questo tipo del feto.
Obiettivo
L’esame consente di verificare la presenza di:
- Anomalie genetiche associate a malattie quali la sindrome di Down, la sindrome di Patau, la sindrome di Edwards, la sindrome dell’X fragile, la fibrosi cistica, la distrofia muscolare di Duchenne-Becker.
- Malformazioni dovute ad alterazioni genetiche: difetti cardiaci, ernia diaframmatica, onfalocele, difetti di chiusura del tubo neurale (il più comune dei quali è la spina bifida).
- Alterazioni del metabolismo.
- Malattie infettive del feto.
Inoltre, può essere impiegato per valutare la maturazione di polmoni (e altri organi) del feto quando si consideri di anticipare il parto. In questo caso è eseguito nel 3° trimestre, fra la 32° e la 39° settimana di gravidanza.
L’amniocentesi è utile per dosare la concentrazione dell’alfa-fetoproteina (AFP), una sostanza prodotta dal feto che risulta elevata in presenza di alcune anomalie fetali quali la spina bifida.
Amniocentesi: quando farla
Si esegue al 4° mese di gravidanza, ovvero fra la 16°/17° e la 18° settimana (in epoca di gestazione precoce), generalmente in ambulatorio.
Perché proprio in questo periodo? In questa fase sono massime le possibilità di successo del prelievo e minimi i rischi.
Perché non prima? Prima della 15° settimana le difficoltà tecniche nell’esecuzione della procedura sono molto più elevate ed è maggiore il rischio di aborto spontaneo e di altre conseguenze per il feto.
Può essere effettuata anche più tardi? Sì, in particolare nel terzo trimestre (in fase tardiva di gestazione), dopo la 25° settimana di gravidanza (fra la 32° e la 39°) allo scopo di valutare la maturità fetale e stabilire con una certa precisione il grado di sviluppo dei polmoni, dei reni e della massa muscolare del feto in vista di un parto anticipato.
Amniocentesi: come si svolge
L’amniocentesi è effettuata in ambulatorio, senza anestesia, inserendo un ago attraverso la parete addominale fino all’utero e al sacco amniotico che circonda il feto.
Il prelievo del fluido in esso contenuto permette il reperimento di cellule che vengono successivamente esaminate in laboratorio.
Non comporta dolore ma richiede alcuni giorni di riposo dopo l’esecuzione.
La donna è sdraiata in posizione supina con l’addome scoperto. L’operatore controlla il battito cardiaco, la corretta epoca della gestazione, la posizione del feto e della placenta attraverso l’ecografia, che guida tutta la realizzazione della procedura, e individua il punto più opportuno dove inserire l’ago per il prelievo del liquido amniotico.
La sonda ecografica viene avvolta in un involucro sterile per minimizzare il rischio di infezioni. La guida ecografica permette di prevenire qualsiasi lesione fetale dovuta alla penetrazione dell’ago.
Dopo aver disinfettato la pelle nell’area interessata, l’operatore inserisce un ago sottile e cavo del calibro di 0,7-0,9 mm e di lunghezza pari a circa 12 mm attraverso la parete addominale, fino a raggiungere l’utero e il sacco amniotico che circonda il feto.
A questo punto viene effettuato un prelievo “a mano libera” (ma sempre sotto guida ecografica) di 20 millilitri circa di liquido amniotico (normalmente 15-18 mL) e, successivamente, viene rimosso l’ago e controllato nuovamente il battito cardiaco fetale.
Al termine dell’indagine viene eseguito un controllo ecografico del feto e della placenta.
Il liquido amniotico prelevato viene reintegrato rapidamente e non rappresenta, in condizioni normali, un rischio per il feto o per la madre.
Quanto dura
Il prelievo, in sé, richiede pochi minuti, anche se l’intera procedura dura circa 30-45 minuti.
È necessaria una preparazione?
Non richiede una preparazione particolare, neppure di tipo alimentare (digiuno o eliminazione di alcuni alimenti dalla dieta).
Se il gruppo sanguigno della mamma è Rh negativo e del papà Rh positivo, il sistema immunitario materno potrebbe attivarsi dopo essere venuto in contatto con le cellule del sangue del feto.
Per scongiurare il rischio di un aborto spontaneo è raccomandata quindi l’esecuzione di una profilassi con immunoglobuline anti-D, che prevengono la formazione di anticorpi diretti contro il feto, una patologia nota come isoimmunizzazione Rh e che può avere conseguenze gravi per il feto.
L’amniocentesi deve essere preceduta da un’ecografia eseguita al fine di rilevare:
- Vitalità del feto
- Epoca di gestazione
- Posizione e dimensione del feto e della placenta
- Eventuali gravidanze plurime.
Non sono raccomandati screening infettivologici pre-amniocentesi, né l’assunzione di una terapia antibiotica profilattica o tocolitica (mirata, cioè, a contrastare l’insorgenza di contrazioni uterine).
È consigliabile riferire al medico che esegue l’indagine l’assunzione di eventuali farmaci.
Prima di sottoporsi all’amniocentesi alla donna viene chiesto di leggere e firmare il Consenso Informato. E’ il documento attraverso cui può decidere in modo libero e autonomo dopo che le sono state presentate una serie di informazioni specifiche, rese a lei comprensibili da parte del medico o equipe medica, se iniziare o proseguire il trattamento sanitario previsto (Legge 219/17, art.1 commi 2,3).
Sottoscrivendo il Consenso Informato, la donna esprime il suo assenso, dissenso o revoca all’esecuzione dell’esame. Il Consenso Informato deve essere sottoscritto prima di sottoporsi a molti esami.
L’amniocentesi fa male?
E’ un esame invasivo ma non doloroso, tanto che non richiede alcun tipo di anestesia, neppure locale. Il dolore/fastidio prodotto è paragonabile a quello che si percepisce durante un prelievo di sangue.
Cosa si sente durante l’esame?
L’esame non è doloroso: la maggior parte delle donne che vi si sono sottoposte e sono state intervistate hanno descritto un fastidio simile a quello generato da un prelievo del sangue.
Invece, un tratto comune a quasi tutte le donne che vanno incontro a questa esperienza è rappresentato dall’ansia che comporta, per la responsabilità che attribuisce ai genitori, in particolare alla madre, riguardo il destino del feto e l’eventuale scelta di ricorrere all’aborto nel caso in cui l’esame rilevi la presenza di anomalie cromosomiche gravi.
Se programmate di sottoporvi all’amniocentesi, sentitevi libere di prendervi del tempo per riflettere e per porre domande al vostro medico, esprimendogli qualsiasi dubbio o preoccupazione.
L’amniocentesi nelle gravidanze gemellari
In caso di gravidanze gemellari, sono necessarie rilevazioni aggiuntive prima di eseguire l’esame.
Se i gemelli sono monocoriali (ovvero possiedono un’unica placenta) la rilevazione è unica, perché sono geneticamente identici. Se, al contrario, sono bicoriali occorre realizzare un prelievo per ognuno di loro. L’introduzione del secondo ago deve essere effettuata in un punto sufficientemente lontano da quello in cui è stato inserito il primo.
I rischi associati all’amniocentesi in caso di gravidanza gemellare sono identici a quelli per le gestazioni con un solo feto.
Amniocentesi e periodo di riposo
Dopo l’amniocentesi è consigliato di rimanere a riposo totale per almeno 24 ore (alcuni medici consigliano di rimanere a letto o stese sul divano), seguendo le indicazioni del proprio medico.
Per altri 3-4 giorni si sconsigliano:
- Sforzi fisici
- Rapporti sessuali
- Viaggi molto lunghi.
La procedura è correlata ad un rischio aggiuntivo di aborto (ossia che si aggiunge alle probabilità di aborto spontaneo cui sono soggette tutte le gravidanze) inferiore all’1%. Il rischio può essere ulteriormente ridotto dall’esperienza del medico che la esegue.
La probabilità di conseguenze gravi aumenta se l’esame viene effettuato prima della 15° settimana.
Quando preoccuparsi?
È bene consultare il medico se dopo l’esame si notano:
- Perdite di liquido o di sangue
- Forti dolori o crampi addominali
- Cambiamento nella percezione dei movimenti fetali
- Temperatura si alza.
La febbre che compare dopo l’amniocentesi deve sempre orientare verso un approfondimento.
La formazione di un piccolo ematoma e la fuoriuscita di qualche goccia di sangue dal sito di iniezione non devono destare preoccupazione.
Amniocentesi: quando farla e perché
Sebbene esistano casi specifici nei quali l’esame è consigliato, che rappresentano altrettanti fattori di rischio per malattie genetiche o alterazioni congenite, i genitori prendono questa importante decisione in piena autonomia.
S tratta, dunque, di una procedura non obbligatoria che comporta un momento delicato di riflessione e responsabilità.
L’amniocentesi non viene raccomandata in tutte le gravidanze perché è associata ai rischi di cui ai paragrafi dedicati.
L’esecuzione di una procedura diagnostica, così come l’assunzione di un farmaco, sono in linea generale correlati a rischi per la salute, che devono essere quantificati caso per caso e valutati, nell’ambito di un bilancio, rispetto ai vantaggi offerti. Deve, cioè, sussistere l’indicazione clinica all’esecuzione dell’esame.
È chiaro che, di fronte al rischio di una malattia cromosomica, le possibili conseguenze di questo esame possono essere considerate accettabili.
Quali sono i casi in cui è consigliato?
La procedura è consigliata, in base alle disposizioni previste dal Decreto Ministeriale del 10/09/1998, in caso di:
- Risultato positivo al test di screening prenatale combinati ecografici e biochimici (test combinato, bi test, tri test).
- Precedenti gravidanze nelle quali il feto ha avuto problemi di malattie cromosomiche o difetti del tubo neurale (il più diffuso e noto è la spina bifida).
- Età della madre superiore ai 35 anni.
- Gravidanza in donne che non si siano sottoposte ai test di screening del primo trimestre.
- Storia familiare di malattie genetiche.
- Positività in gravidanza per malattie infettive da citomegalovirus, parvovirus B19, Toxoplasma gondii, virus della rosolia.
- Risultati dell’ecografia che inducano a sospettare la presenza di malattie genetiche.
Anche l’ansia materna, quando patologica e potenzialmente impattante sul decorso della gravidanza, costituisce un’indicazione a considerare l’amniocentesi.
Rischi dell’amniocentesi
I rischi di questa procedura sono legati alla sua invasività; il più grave di essi è la morte del feto, l’aborto spontaneo, associato ad una probabilità oggi inferiore rispetto al passato e minore dell’1%.
La percentuale di rischio legata all’esame (rischio aggiuntivo), scorporata da quella che esiste per tutte le gravidanze è pari all’1-3 su 1.000.
Questa percentuale può aumentare significativamente in presenza di fattori di rischio quali:
- Aborti pregressi (fino al 7%)
- Presenza di emorragie (fino al 6%) o di sangue nel liquido amniotico (fino al 15%)
- Elevati livelli di alfa-fetoproteina nel sangue (fino al 20%).
Esistono poi i rischi di infezioni uterine (inferiore a 1/1.000 donne che si sottopongono all’esame), di perdita vaginale di liquido amniotico, di contrazioni e di sanguinamento vaginale (che si verifica nel 2-3% dei casi e si risolve di solito spontaneamente).
Inoltre, si possono verificare in casi rarissimi anomalie degli arti inferiori del feto (come il piede torto equinovaro).
Sono piuttosto diffusi sintomi quali febbre, dolore e brividi, anche se qualsiasi rialzo termico dopo l’amniocentesi è meritevole di approfondimento.
La formazione di un piccolo ematoma e la fuoriuscita di qualche goccia di sangue dal sito di iniezione a livello addominale non rappresentano eventi preoccupanti.
Rottura delle membrane amniocoriali
Dopo l’amniocentesi, il rischio di rottura delle membrane amniocoriali (l’evento che viene comunemente definito “rottura delle acque”) è pari all’1/1000 circa.
Il rischio di lesioni fetali causate dall’ago è praticamente trascurabile, grazie alla guida fornita dal controllo ecografico continuo.
Non sono emerse prove che associano all’amniocentesi il rischio di trasmissione verticale (ossia da mamma a figlio) di infezioni virali (fra cui quella da HIV, l’AIDS).
In meno dell’1% dei casi possono verificarsi difficoltà nell’interpretazione delle analisi, specialmente se l’esame rileva la presenza di un mosaicismo, cioè di cellule con corredo cromosomico diverso all’interno dello stesso campione.
Per verificare che il mosaicismo sia confinato alle cellule placentari e non riguardi anche le cellule del feto occorre eseguire un’amniocentesi alla 16° settimana. Il mosaicismo delle sole cellule placentari è la condizione statisticamente più correlata ad un falso positivo.
In alcuni casi il dosaggio nel liquido amniotico dell’alfa-fetoproteina (AFP) è più elevato rispetto al normale ma questa condizione non è associata ad alcuna alterazione: si tratta di rilievi che producono falsi positivi.
Nell’1% dei casi c’è la possibilità che alla prima inserzione dell’ago non si riesca a prelevare il liquido amniotico. Questo implica che il prelievo debba essere ripetuto. Se anche la seconda inserzione non dovesse andare a buon fine l’esame viene programmato per la settimana successiva.
Ogni nuova inserzione comporta un rischio di abortività aggiuntivo.
Un’altra conseguenza è, invece, associata all’insuccesso delle colture cellulari. Anche in questo caso la procedura deve essere ripetuta.
Tutti i fattori di rischio: chi è più esposta?
I fattori di rischio che rendono più pericoloso l’esame sono rappresentati da:
- Precedente abortività (fino al 7%).
- Presenza di emorragie genitali nel corso della gravidanza (fino al 6%)
- Presenza di sangue nel liquido amniotico (fino al 15%)
- Dosaggio dell’alfa-fetoproteina nel siero superiore alle 2 MoM (fino al 20%).
Esistono esami alternativi meno rischiosi?
Non esistono test alternativi meno rischiosi che abbiano la stessa affidabilità dell’amniocentesi. Ma sono disponibili metodiche correlate a rischi inferiori che forniscono informazioni di screening.
Il NIPT è un test prenatale non invasivo (Non Invasive Prenatal Test) introdotto nel 2011. Inizialmente proposto per lo screening della trisomia 21 (correlata alla sindrome di Down), in seguito è stato esteso alle trisomie 18 e 13 e ad altri difetti genetici, anche se con affidabilità inferiori.
Viene eseguito sul sangue materno ottenuto con un normale prelievo e si basa sull’analisi del DNA libero circolante nel plasma materno.
La mancanza di evidenze scientifiche a supporto di tutte le applicazioni in cui è stato testato, lo rende oggi raccomandato solo limitatamente alle trisomie 21, 18 e 13.
Gli esami non invasivi hanno valore diagnostico?
Il NIPT non ha valore diagnostico, ma solo di screening e deve essere considerato nell’ambito del quadro clinico e anamnestico della donna.
Se in esito produce un risultato ad alto rischio, non significa necessariamente che il feto è affetto da quel disturbo, ma suggerisce che è richiesta una conferma mediante l’esecuzione di un esame diagnostico appropriato, come l’amniocentesi.
Allo stesso modo, se il riscontro è di basso rischio, questo equivale ad una rassicurazione ma senza assicurare la certezza che la patologia indagata sia assente.
Villocentesi o amniocentesi
Il prelievo dei villi coriali (villocentesi) si effettua a partire dalla 10° settimana e non oltre la 13° settimana di gestazione.
Prima di questa epoca, sono elevati i rischi di aborto spontaneo e di difetti trasversali degli arti.
Lo scopo della procedura è quello di prelevare alcune cellule da un tessuto chiamato trofoblasto, che si trova alla base della placenta.
I pro e i contro
Il rischio legato all’esecuzione dell’esame è uguale per le due metodiche.
Le differenze
Mentre per entrambi gli esami il risultato definitivo (e unico per l’amniocentesi) è disponibile dopo circa 3 settimane, per la villocentesi è possibile ottenere un primo esito provvisorio dopo circa 8-10 giorni, altamente attendibile.
La villocentesi può essere eseguita in epoca più precoce rispetto all’amniocentesi: questo rende un’eventuale interruzione di gravidanza meno traumatica.
A differenza dell’amniocentesi, che prevede il prelievo di liquido amniotico, la villocentesi interessa i villi coriali, ossia elementi cellulari presenti nella placenta.
Oltre che per via trans-addominale, la villocentesi può essere eseguita per via trans-cervicale, inserendo un tubicino attraverso la vagina e il canale cervicale, per accedere all’utero e alla placenta. L’operatore stabilisce caso per caso quale sia la via d’accesso più opportuna.
In generale, l’amniocentesi risulta un po’ più attendibile perché comporta meno casi dubbi.
Quando scegliere l’amniocentesi e quando la villocentesi
Attraverso la villocentesi è possibile recuperare un quantitativo più cospicuo di tessuto placentare e ottenere quindi materiale genetico in abbondanza: per questa ragione viene consigliata quando si devono testare malattie ereditarie.
Quando viene richiesto solo l’esame cromosomico, invece, le indicazioni sono più o meno analoghe.
Quanto costa sottoporsi all’amniocentesi
Il Servizio Sanitario Nazionale offre gratuitamente l’indagine alle donne che abbiano superato i 35 anni. Ci possono essere costi aggiuntivi legati ad indagini specifiche, che raccomanderà il medico in base alle caratteristiche dei pazienti.
Presso le strutture private il costo è ampiamente variabile e compreso in un range che va dai 500 ai 1.500 euro (con un prezzo medio pari a 700 euro circa), in base a numerosi fattori, tra cui la modalità di analisi scelta (tradizionale o molecolare).
Fonti
- Aggiornamento del decreto ministeriale 6 marzo 1995 concernente l’aggiornamento del decreto ministeriale 14 aprile 1984 recante protocolli di accesso agli esami di laboratorio e di diagnostica strumentale per le donne in stato di gravidanza ed a tutela della maternità – Ministero della Salute.
- Conferma diagnostica dopo NIPT con risultato ad alto rischio, non informativo o sesso discordante – Società Italiana di Genetica Umana.
- Legge n. 2019 del 22 dicembre 2017 – Consenso Informato.
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