Sommario
L’allattamento al seno permette di stabilire una relazione unica e speciale fra mamma e bambino, fatta di nutrizione, cura, affetto e coccole. Il latte materno poi contiene tutte le sostanze necessarie per la crescita del bambino nei primi 6 mesi di vita. Sono numerosi gli studi, infatti, che ne hanno dimostrato il valore nutritivo, ormai ampiamente riconosciuto, per favorire la crescita e lo sviluppo del neonato.
L’allattamento poi ha una positiva influenza, a livello psicologico, emotivo e fisico, sulla salute sia delle madri, sia dei bambini.
Il riconoscimento dell’importanza dell’allattamento materno ha convinto molte donne a scegliere con più consapevolezza questa modalità di alimentazione per il loro piccolo. Sono, infatti, sempre di più le neo mamme che scelgono di allattare al seno il proprio bambino.
Vediamo allora cos’è l’allattamento al seno e quali consigli pratici seguire.
Che cos’è l’allattamento al seno?
Ciò di cui ha bisogno un neonato è essere nutrito, protetto e accudito, come quando era ancora nella pancia della mamma. Allattare, infatti, è la prosecuzione fisiologica del rapporto che si è creato tra la donna e il nascituro durante la gravidanza. Inoltre, aiuta mamma e bambino a conoscersi e a instaurare un legame profondo e duraturo.
Il latte materno per i primi sei mesi è l’unico alimento naturale per il piccolo, lo nutre in modo completo e lo protegge da molte malattie e infezioni. È sempre pronto, alla giusta temperatura e varia nel tempo, adattandosi per rispondere adeguatamente ai bisogni del neonato. Non occorre altro, perché l’allattamento consente al neonato di crescere e svilupparsi in modo fisiologico.
Infatti, il latte materno è un alimento perfetto: contiene in modo bilanciato tutti i nutrienti e le sostanze di cui il bambino ha bisogno dalla nascita e durante la crescita. L’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda il latte materno come alimento esclusivo per i primi 6 mesi di vita.
Questo perché sono molti i vantaggi offerti dall’allattamento: non solo nutre, ma potenzia le difese naturali, sostiene lo sviluppo intestinale del neonato e rafforza il legame mamma-bambino.
Se vuoi saperne di più, leggi il nostro approfondimento sul latte materno.
Tipologie di allattamento
L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) raccomanda di cominciare l’allattamento al seno subito dopo il parto e di continuarlo almeno fino al sesto mese di vita in maniera esclusiva.
Ha anche proposto delle specifiche definizioni sull’alimentazione infantile per distinguere le diverse tipologie di allattamento.
Vediamo di cosa si tratta.
- Allattamento precoce: il neonato si attacca al seno entro un’ora dalla nascita. È una pratica che consente di facilitare il contatto “pelle a pelle” immediato e sostenere le madri a iniziare l’allattamento subito dopo la nascita.
- Esclusivo: il bambino si nutre unicamente con il latte materno, escludendo altri alimenti o liquidi, compresa l’acqua.
- Predominante: il poppante riceve latte materno come fonte predominante di nutrienti e anche liquidi non nutritivi (acqua, soluzione glucosata, camomilla, tisane e succhi non zuccherati).
- Alimentazione complementare: il neonato assume latte materno e qualsiasi altro alimento o bevanda, compreso il latte non umano e le formule artificiali, dai 6 mesi in su.
- Allattamento continuato: il bambino/a continua a ricevere latte materno fino ai due anni di età e oltre, associato ad altro alimento o bevanda, compreso il latte non umano o i latti artificiali.
- Non allattamento: il piccolo non riceve latte materno, ma solo latti artificiali e/o alimenti semisolidi o solidi.
Le forme di allattamento invece sono principalmente due: a richiesta e misto.
Allattamento al seno a richiesta
La maggior parte dei bambini si nutre almeno 8 volte nelle 24 ore e nei primi giorni le poppate possono essere anche più di 12. Per questo hanno bisogno di un allattamento al seno a richiesta, cioè devono poter attaccarsi alla mammella ogni qualvolta avvertono lo stimolo della fame.
Quindi, è bene tenere il piccolo accanto, soprattutto nel primo periodo dell‛allattamento. In questo modo si può imparare a conoscerlo e a capire quando ha bisogno di essere nutrito.
Il neonato, infatti, comunica alla mamma quando vuole mangiare tramite alcuni comportamenti o “segnali” di fame. Tra questi il “riflesso di ricerca”, cioè il neonato apre gli occhi, gira la testa e mette fuori la lingua in cerca della mamma. Il pianto, invece, è un segnale tardivo di fame. Il bambino poi alcuni giorni può essere più affamato di altri e quindi chiedere di poppare più frequentemente, aumentando di conseguenza la produzione di latte.
È il bambino, infatti, che con le sue richieste stimola un aumento della prolattina, l’ormone implicato nella formazione del latte materno dopo il parto.
La suzione del bambino, invece, favorisce la produzione di ossitocina, l’ormone che facilita la “spremitura” della ghiandola mammaria e che ha agevolato le contrazioni uterine al momento del parto.
Se, invece, il piccolo è un po’ pigro, va dolcemente stimolato alla suzione, prolungando la poppata se serve. Potrebbe anche essere necessario svegliarlo ogni 3-4 ore.
Se ti interessa l’argomento, scopri il nostro approfondimento sull’allattamento a richiesta.
Come capire quando il neonato ha fame?
La mamma può quindi imparare a riconoscere precocemente i segnali di fame del bambino che l’avverte che è l’ora della pappa attraverso alcuni comportamenti:
- Segno precoce “ho fame”: il piccolo si muove, apre la bocca, gira la testa di lato per cercare il seno.
- Intermedio “tanta fame”: il neonato si stira, è un po’ più agitato, porta la mano alla bocca.
- Tardivo “aiutami”: il bambino piange, si agita, diventa rosso. In questo caso, è meglio prima calmarlo con coccole, carezze e un tono di voce amorevole e poi nutrirlo.
Allattamento misto
L’allattamento esclusivo è certamente la forma di nutrizione migliore per il bambino. Tuttavia, ci sono situazioni in cui, per varie ragioni, è utile un’integrazione di latte. Si può trattare di latte materno spremuto manualmente o con un tiralatte, di latte materno donato (reperibile in vere e proprie “banche” del latte) o artificiale, somministrato con il biberon.
In quest’ultimo caso, si ha appunto un “allattamento misto” (o complementare).
Tra i motivi che possono indurre la donna a optare per questa forma di allattamento possono esserci:
- Una montata lattea tardiva.
- Se il latte materno non è sufficiente per nutrire il bambino correttamente.
- Il piccolo non prende peso.
- La madre soffre di una malattia che si può trasmettere con l’allattamento o deve rientrare al lavoro.
- In caso di parto gemellare, in cui il latte materno non è sufficiente.
Tuttavia, è sempre necessaria un’attenta valutazione medica prima di procedere.
Benefici e vantaggi dell’allattamento al seno
Il latte materno è un sistema biologico che risponde al bisogno nutrizionale del neonato. È il miglior nutrimento, sempre disponibile, alla giusta temperatura e ricco di tutti i nutrienti essenziali, come proteine, zuccheri, vitamine e grassi, in grado di sopperire a tutte le necessità del neonato.
Inoltre, non costa nulla e non ci sono costi di preparazione, anzi possiede molti benefici per la salute del bambino. Tra questi:
- Riduce il rischio e l’incidenza delle gastroenteriti e delle allergie, protegge dalle infezioni respiratorie, migliora la vista e lo sviluppo psicomotorio ed emotivo.
- Favorisce lo sviluppo intestinale, abbassando il rischio di occlusioni.
- Presenta vantaggi per la mamma: diminuisce il rischio di tumore al seno e alle ovaie, di osteoporosi dopo la menopausa, favorisce la ripresa psicofisica ed è protettivo per la depressione dopo il parto.
- L’allattamento richiede tempo e pazienza, ma permette ai genitori e al bambino di iniziare a conoscersi.
Iniziare subito ad allattare al seno, inoltre, grazie al contatto “pelle a pelle”, favorisce, come abbiamo visto, anche l’aumento della prolattina e dell’ossitocina, ormoni coinvolti nel processo di allattamento.
Secondo gli studi poi, attraverso il latte materno sono trasmessi dei batteri che aiutano lo sviluppo della normale flora batterica intestinale, fondamentale per proteggere il lattante dalle prime infezioni.
Inoltre, tale colonizzazione dell’intestino sarebbe in grado, sempre secondo le ricerche, di prevenire l’insorgenza di malattie allergiche, metaboliche (come l’obesità e il diabete mellito) e perfino cardiovascolari.
Come allattare al seno: la guida pratica
Durante l’allattamento al seno l’alimentazione della mamma e altri fattori svolgono un ruolo rilevante. Potenzialmente tutte le mamme possono produrre latte, ma ci sono alcune accortezze che possono facilitare questo processo del tutto naturale.
Vediamo le principali.
Frequenza delle poppate
Nelle prime 4-6 settimane i tempi e la frequenza delle poppate sono solitamente irregolari, variano da un giorno all’altro e per ogni bambino. Con il passare del tempo, tuttavia, si giungerà a ritmi più regolari.
È preferibile allattare quando il bambino mostra i segni di fame. Comunque, 8-12 poppate sono da considerarsi normali. Il bambino però ha bisogno di nutrirsi anche durante la notte.
Quanto dura una poppata
Anche la durata è diversa da un bambino all’altro e può perfino variare da poppata a poppata. Alcuni neonati cessano spontaneamente la poppata in circa dieci minuti, mentre altri possono richiedere più tempo.
Si può comunque lasciare che il bambino succhi da un seno sino a quando si stacca spontaneamente, per poi offrirgli l’altra mammella. A volte si attacca anche al secondo seno, a volte ne basta uno solo. Alla poppata successiva, tuttavia, è meglio offrire la mammella cui non si è attaccato prima.
È bene ricordare che il latte viene allattando. Infatti, è un errore saltare una poppata, pensando di risparmiare il latte per quella successiva. Meno si allatta e meno saranno gli stimoli per la produzione di latte. Inoltre, in caso di pasti frequenti non vuol dire che la mamma ha poco latte.
Come attaccare il neonato al seno
È importante controllare che il piccolo si attacchi al seno correttamente, poiché potrebbe non essere in grado di poppare bene.
Il bimbo va tenuto con il naso o con il labbro superiore proprio di fronte al capezzolo. Poi occorre aspettare che spalanchi la bocca (per incoraggiarlo si possono sfiorare le sue labbra con il capezzolo) e, appena accade, va rapidamente avvicinato al seno affinché il suo labbro inferiore tocchi la mammella, il più lontano possibile dalla base del capezzolo.
In questo modo il capezzolo punterà verso il palato del bambino e la poppata può procedere senza dolore per la mamma.
Allattamento al seno: altre posizioni
Tra le posizioni ci sono:
- Classica, in cui la testa del bambino poggia sull’avambraccio dello stesso lato del seno.
- Incrociata, dove il bambino è tenuto con il braccio opposto al seno e la mano della madre sorregge la nuca.
- Rugby, il piccolo è sostenuto dall’avambraccio della mamma seduta, con i piedi che puntano verso lo schienale della sedia o della poltrona.
- Sdraiata, in cui la madre tiene il piccolo sdraiato vicino a sé. Sono entrambi distesi su un fianco, pancia contro pancia.
Allattamento al seno: posizioni
Non esiste una posizione ideale. È possibile per la madre allattare stando seduta o distesa; spetta a ogni donna trovare la posizione più comoda. Qualsiasi posizione si scelga, il bambino dovrebbe trovarsi sdraiato sul fianco con la pancia contro il corpo della madre.
È molto importante che la posizione assunta dalla donna sia confortevole, con la schiena e i piedi ben appoggiati, così da indurla a rilassarsi.
Il capezzolo deve trovarsi all’altezza del naso del bambino in modo che quando aprirà la bocca, prenderà il capezzolo dal basso verso l’alto. Il bambino, infatti, deve attaccarsi al seno e non al capezzolo.
È possibile anche utilizzare un cuscino per allattamento, un supporto che consente a madre e neonato di avere una posizione ottimale durante le poppate.
La posizione semi-reclinata è la più comune ed è la migliore quando il bambino sta imparando a poppare, se non riesce ad attaccarsi bene al seno o quando alla mamma fanno male i capezzoli.
Bisogna mettersi in una posizione semi-reclinata (né completamente sdraiata, né del tutto seduta) sentendosi comode, con la schiena sostenuta e rilassata. Poi si adagia il piccolo tra l’addome e il torace, facendo attenzione che si appoggi sulla guancia, che abbia le vie aeree libere e che il collo, il pancino e le gambe siano in stretto contatto con il corpo della mamma.
Alcune donne trovano utile sostenere la schiena e il sederino del piccolo con la mano o con il braccio.
Tuttavia ci sono altre posizioni per allattare, perfino stando in piedi. Ciò che conta è stare comode e rilassate, in una posizione che renda facile la poppata.
All’inizio si può trovare più confortevole una certa posizione, come ad esempio seduta su una sedia o sdraiata a letto. Mano a mano che mamma e bambino diventano “più esperti”, sarà più facile anche l’allattamento.
Come capire se il neonato beve il latte
La paura che il bambino non abbia latte a sufficienza è molto frequente nelle mamme. In realtà una bassa produzione di latte è abbastanza rara e la causa principale è la scarsa stimolazione del seno. La quantità di latte prodotto, infatti, dipende da quanto e da come succhia il bambino.
Comunque, qualsiasi posizione si usi, il piccolo dovrebbe sempre ottenere un attacco profondo, cioè con una porzione abbondante di seno in bocca e deglutire senza difficoltà, perché questo consente di succhiare facilmente il latte, senza dolore per la mamma.
Allattamento al seno: segni di un buon allattamento
Per capire se l’allattamento è efficace, è bene osservare il neonato e verificare:
- 5/6 pannolini bagnati di pipì nelle 24 ore.
- Presenza di feci da latte (color ocra, anche a ogni poppata).
- Rilassamento del piccolo dopo la poppata.
- Aumento del peso da 125-150 g. a settimana. È bene ricordare che il bambino ha bisogno di circa 15 giorni per recuperare il peso della nascita, per poi crescere regolarmente. I neonati, infatti, possono perdere il 7-10% del loro peso nei primissimi giorni dopo il parto, ma devono riguadagnare quanto perso in 2-3 settimane.
Come far fare il ruttino al neonato?
Nelle prime settimane di vita, la preoccupazione sul ruttino è molto frequente. Serve a espellere parte dell’aria che i lattanti tendono a ingoiare mentre si nutrono. Alcuni bambini deglutiscono molta aria e, non riuscendo a espellerla con il ruttino, possono incorrere in coliche gassose e diventare nervosi.
Per favorire l’espulsione dell’aria, è bene mettere il bambino in posizione verticale, appoggiarlo al proprio petto e con la mano dare leggere pacche sulla schiena. Nel caso in cui il piccolo sia irrequieto durante la poppata, è bene sospendere temporaneamente anche 2-3 volte l’allattamento ed effettuare la manovra per favorire l’eruttazione.
Inoltre, nei primi sei mesi di vita, è utile tenere il bambino in una postura eretta per circa 15 minuti alla fine di ogni poppata per favorire il ruttino.
Allattamento al seno: la soluzione migliore a seconda del periodo
Il bambino può essere attaccato al seno anche subito dopo il parto, anzi alcuni studi evidenziano come questa modalità favorisca l’inizio e il proseguimento dell’allattamento al seno. Inoltre, uno dei principali effetti del contatto “pelle a pelle” è proprio quello di facilitare l’allattamento al seno.
Infatti, questa vicinanza stimola nella mamma il rilascio di ossitocina e permette al neonato di prendere confidenza con il seno e di imparare, in modo naturale, ad attaccarsi alla mammella.
Non solo, mantiene anche il neonato al caldo (alla nascita tende a perdere calore), tranquillizza madre e piccolo, aiuta a regolare la frequenza cardiaca e respiratoria, riduce il pianto del neonato (dovuto allo stress “da nascita”), facilita la relazione e il vincolo affettivo tra mamma e bambino. È anche consigliato che dopo il parto mamma e neonato stiano insieme nella stessa stanza (Rooming-in).
Perfino l’OMS raccomanda di iniziare l’allattamento al seno subito dopo la nascita e di portarlo avanti almeno fino al sesto mese di vita in maniera esclusiva.
Successivamente, non c’è un vero limite temporale per smettere, tuttavia sembrerebbe che allattare un bambino con latte materno fino a 2 anni, insieme ad altri alimenti, è un fattore protettivo sia per la mamma, sia per il bambino.
Lo svezzamento, invece, è un processo graduale in cui il latte materno non è più l’unico cibo per il piccolo e si inizia a introdurre altri alimenti, fino a completa sostituzione.
Questo perché, dopo sei mesi, il bambino ha bisogno di un apporto più elevato di nutrienti per crescere. Solitamente un bambino di sette mesi riceve ancora il 93% del nutrimento dal latte, tuttavia lo svezzamento può durare fino a quando la mamma e il bambino lo desiderano.
Quando smettere di allattare è una scelta personale.
Cos’è il Rooming-in
Si chiama Rooming-in la condizione organizzativa che in ospedale consente alla mamma e al bambino di stare insieme, giorno e notte, nella stessa stanza durante il ricovero in ospedale. È un approccio dai tanti vantaggi:
- Permette al neonato di riconoscere la madre, ascoltare la sua voce, essere accudito e nutrito e aiuta anche i genitori a riconoscere e capire le sue necessità.
- Agevola l’allattamento al seno. La madre, infatti, può allattare ogni qualvolta il piccolo lo richieda, facilitando anche la montata lattea e abituandosi per quando tornerà a casa.
Infine, numerosi studi hanno dimostrato che il Rooming-in, consentendo un contatto prolungato tra la mamma e il suo bambino subito dopo la nascita, incoraggia l’instaurarsi di un legame affettivo profondo, utile a entrambi.
Come tirare il latte
Sono diversi i motivi per cui una donna che allatta può avere la necessità o l’esigenza di “tirarsi il latte”. Ad esempio per risolvere un ingorgo mammario o per lasciare il latte al bambino quando non può allattare.
Il metodo più semplice è la spremitura manuale. È una tecnica che non richiede apparecchi e, se ben fatta, è molto efficace. Quando il seno è morbido, è facile spremere il latte con le mani, mentre quando la mammella è un po’ occlusa e dolente, è un po’ più difficile. Tuttavia, appena il seno inizia a svuotarsi il dolore si riduce. Se non si riesce a spremere il latte con le mani, si può usare un tiralatte.
Per spremere il latte manualmente in modo corretto ci vogliono 20-30 minuti, soprattutto nei primi giorni. Prima di procedere alla spremitura, è molto importante lavarsi bene le mani, trovare una posizione comoda e massaggiare il seno. Potrebbe essere di aiuto poggiare sulla mammella una pezza bagnata con acqua calda, poiché il massaggio e il calore stimolano la fuoriuscita del latte.
Si inizia la spremitura mettendo il pollice al di sopra dell’areola e l’indice al di sotto. Con le altre dita si sostiene il seno. A questo punto si esercita una leggera pressione verso la parete toracica e si preme il seno, tra l’indice e il pollice.
È bene spremere e lasciare, seguendo un certo ritmo, senza provare dolore. Se fa male, vuol dire che il movimento non è corretto.
Si consiglia di spremere un seno per almeno 3-5 minuti, fino a che il flusso rallenta, poi passare all’altro; ripetere l’operazione fino a quando tutto il latte è stato “tirato”.
Il tiralatte, manuale o elettrico, invece, è di facile impiego. Ce ne sono di vari modelli che agiscono in modo differente, alcuni si azionano a mano, altri a batteria. Hanno tutti una coppetta che si adatta al capezzolo e all’areola.
Allattamento al seno: come conservare il latte materno
Il latte appena spremuto va messo in un contenitore sterilizzato, di vetro o di plastica, con chiusura ermetica. Si può mantenere a temperatura ambiente, fino a 25°, per quattro ore, conservarlo nella parte più fredda del frigorifero, tra 2-4°, fino a 3 giorni, oppure fino a una settimana nel comparto ghiaccio.
Se si conserva in congelatore, il latte può durare fino a 6 mesi. Una volta scongelato però non può essere ricongelato, va conservato in frigorifero e utilizzato entro le 24 ore.
Quando ricorrere al latte artificiale
Sono diversi i motivi per i quali la donna non può allattare al seno. Ad esempio, per traumi o operazioni al seno, poco latte, malattie preesistenti, terapie con determinati farmaci, difficoltà del bambino nell’attaccarsi alla mammella o crescita insufficiente, labioschisi (labbro leporino) o alterazioni del palato che impediscono al bambino di succhiare normalmente, nascita prematura per cui il bambino ha necessità di ricevere cure speciali, ecc.
Nei casi quindi in cui la mamma non può nutrire direttamente il piccolo, si ricorre al latte artificiale. Si tratta di latte di mucca che però subisce uno specifico trattamento che lo rende adatto ai neonati.
Ce ne sono diversi tipi in commercio, sia liquidi che in polvere. La loro composizione deve obbligatoriamente rispondere a precisi standard ed essere equivalente dal punto di vista nutrizionale.
Allattamento al seno: controindicazioni e fattori di rischio
Sono piuttosto rare e riguardano solitamente problemi di salute della madre, come ad esempio:
- Infezione da HIV.
- Malattie gravemente debilitanti.
- Psicosi.
- Assunzione di farmaci vietati in allattamento.
Ci sono anche delle controindicazioni dovute ad alcune malattie metaboliche molto rare del bambino come:
- Galattosemia, una rara malattia metabolica in cui l’organismo non riesce a trasformare il galattosio, lo zucchero contenuto nel latte, in glucosio.
- Fenilchetonuria, dovuta a un difetto genetico nel metabolismo della fenilalanina, un amminoacido che quindi si accumula nell’organismo in quantità tossiche e provoca gravi danni cerebrali.
- Malattia delle urine da sciroppo d’acero, che è un raro difetto del metabolismo degli aminoacidi a catena ramificata, caratterizzato da difficoltà a nutrirsi, letargia, vomito e un cerume (e in seguito le urine) che odora di sciroppo d’acero.
Cosa fare quando non si può allattare
Sono poche le donne che non hanno la possibilità di allattare. Può essere il caso di chi soffre di malattie trasmissibili con l’allattamento, come la tubercolosi, la sieropositività per HIV, l’Herpes simplex sul capezzolo; oppure in caso di tossicodipendenza, alcolismo, o l’uso di terapie farmacologiche, ecc.
Tuttavia, ci sono anche situazioni in cui la mamma non può allattare non tanto per una difficoltà fisiologica o di salute, ma perché, ad esempio, è al lavoro.
Nonostante sia riconosciuto dalla legge il diritto della donna lavoratrice all’allattamento, possono esserci occasioni in cui non è proprio possibile allattare direttamente il bambino. In questi casi quindi è molto utile imparare a spremere il latte manualmente o con il tiralatte (manuale o elettrico).
Dieta e alimentazione per l’allattamento al seno
Durante l’allattamento al seno è bene seguire una dieta varia ed equilibrata.
Inoltre, allattare è un’attività che richiede un certo dispendio di energia e un aumentato fabbisogno di vitamine e sali minerali.
Secondo le tabelle LARN (Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti), infatti, una donna che allatta ha bisogno di circa 700 kcal in più al giorno.
Una parte è prelevata dai depositi di grasso accumulati durante la gravidanza. Quindi, non è vero che allattare fa ingrassare, al contrario, si va incontro a una riduzione del peso. Le restanti 500 kcal circa potranno essere soddisfatte con uno spuntino in più, magari a base di frutta secca.
Non esistono cibi o bevande che favoriscono o riducono la produzione del latte. Alcuni cibi possono dare un sapore diverso al latte, ma non è necessario eliminarli dalla dieta se il bambino non modifica le sue abitudini alimentari.
Sarebbe opportuno smettere di fumare e non assumere droghe di nessun tipo, limitare il consumo di caffè e di alcol (che ha un’elevata capacità di passare nel latte materno).
È possibile, invece, fare attività fisica e continuare ad allattare anche in caso di febbre, influenza o raffreddore.
Cosa mangiare in allattamento
Ci sono molti falsi miti a proposito di cosa si può o meno mangiare in allattamento: dall’aglio, ai cavoli, dalle spezie al peperoncino. In realtà, non esistono cibi vitati o sconsigliati. Anche se l’alimentazione materna influisce sul sapore del latte, il neonato ha già iniziato ad “assaporare” il cibo durante la gravidanza della mamma, quindi continua attraverso il latte.
Questo, inoltre, renderà più facile al bambino prendere confidenza con i cibi solidi. Secondo alcuni studi, infatti, se la mamma, ad esempio, mangia broccoli in gravidanza e in allattamento, questo alimento sarà poi accettato con più facilità dal bambino.
Per quanto riguarda invece i cibi detti ‘‘allergizzanti’’, tipo latte, uova, pesce, frutta secca, ecc., sembra invece, secondo la scienza, che le donne che hanno allergie alimentari dovrebbero continuare a mangiare l’alimento “vietato”, poiché aiuterebbe il piccolo a sviluppare una tolleranza verso quel cibo.
Quindi, via libera a tutti gli alimenti, facendo però attenzione, come abbiamo detto, a caffeina, da consumare con moderazione, e agli alcolici. Bere un po’ di vino durante i pasti è possibile, ma con molta moderazione, aspettando circa due ore prima di attaccare il bambino al seno.
Ma se non ci sono cibi da evitare, non esistono neppure alimenti consigliati che richiamano vecchi detti della nonna. Non è vero, infatti, che “il latte fa produrre più latte”, così come il brodo non aumenta la quantità di latte disponibile.
Ciò che conta davvero è seguire un’alimentazione varia ed equilibrata, ricca di acqua, verdure, frutta e cereali, come quella mediterranea, alla quale si ispira la dieta Melarossa, un regime alimentare consigliato in realtà a tutti noi.
Se ti interessa l’argomento, scopri il nostro approfondimento sulla dieta in allattamento.
Complicanze dell’allattamento al seno per la madre
La maggior parte dei problemi incontrati dalle mamme durante le prime settimane di allattamento, quelle più delicate, (ad esempio capezzoli dolenti, ragadi, ingorghi mammari, mastiti, scarsa produzione di latte), accadono perché il bambino non è ben attaccato al seno o perché il numero di poppate è troppo scarso.
Vediamo allora i principali disturbi che possono verificarsi nell’allattamento al seno.
Ragadi
I primi giorni dopo il parto, è possibile avvertire un certo malessere al capezzolo all’inizio della poppata, che dovrebbe però sparire dopo qualche giorno. Se continua o aumenta, è possibile che il bambino non si attacchi bene al seno.
Le ragadi sono piccole ferite dolorose e a volte sanguinanti del capezzolo, dovute proprio a un attacco non corretto da parte del neonato o a una forza di suzione particolarmente vigorosa.
In questi casi è opportuno verificare che il bambino abbia afferrato bene tutto il capezzolo e non solo la punta. In presenza di ragadi, si può comunque continuare ad allattare, iniziando però la poppata dalla mammella che fa meno male e cercando di posizionare e attaccare in modo corretto il piccolo.
Per prevenire le ragadi è inutile applicare sul capezzolo creme, olii e/o disinfettanti, poiché ciò che conta davvero è l’attacco del bambino.
Se ti interessa l’argomento, scopri il nostro approfondimento sulle ragadi al seno.
Ingorgo mammario
Si verifica quando la mammella non è svuotata completamente e di frequente. Ciò può accadere, ad esempio: per un inizio di allattamento ritardato, attacco al seno inadatto, poppate poco frequenti o troppo brevi, assenza delle poppate notturne.
La sensazione è di seno pieno, pesante, teso, dolente e caldo e la pelle può apparire arrossata. Anche il capezzolo può essere troppo teso e appiattito, rendendo difficoltoso l’attacco, favorendo le ragadi e creando un circolo vizioso che peggiora l’ingorgo.
Solitamente non c’è febbre, ma se il problema non si risolve, può inibire la lattazione, riducendo la produzione di latte e bloccandone la fuoriuscita.
In questo caso, è necessario continuare ad attaccare spesso il bambino, ma se il dolore è eccessivo, è bene spremere il latte a mano o con un tiralatte.
Prima della poppata può essere utile applicare impacchi caldi sul seno e massaggiarlo per un paio di minuti, oppure praticare un massaggio rilassante sulla schiena (ai lati della colonna vertebrale) o fare una doccia calda sul dorso.
Il metodo migliore per prevenire l’ingorgo, nonché la sua cura, consiste nello svuotare bene le mammelle durante le poppate. Un altro utile accorgimento è indossare reggiseni e indumenti molto comodi che non comprimono il seno.
Ciò che conta comunque è un corretto attacco del bambino alla mammella. L’uso di creme o di paracapezzoli (in silicone o caucciù) potrebbe, invece, complicare la situazione e dimostrarsi non risolutivo.
È possibile anche ricorrere a una terapia antidolorifica e antinfiammatoria da concordare però con il medico.
Infine, è importante anche distinguere l’ingorgo dalla montata lattea (che in genere compare dopo il terzo giorno). In questo caso, infatti, le mammelle possono diventare dure, dolenti e calde, talvolta con un aumento della temperatura corporea, ma è tutto normale.
Mastite
La mastite è un’infiammazione della ghiandola mammaria e si manifesta con malessere generale, febbre superiore ai 38,5 C°, brividi di freddo, dolori articolari e seno duro e arrossato. In questi casi è bene consultare subito il medico per un eventuale trattamento farmacologico (antibiotici e antidolorifici).
Solitamente la mastite non rappresenta un pericolo per il bambino, poiché non compromette la composizione del latte materno.
Spesso è la conseguenza di un ristagno di latte non ben drenato. In questi casi, pertanto, è consigliabile continuare ad allattare, attaccando il bambino anche alla mammella con la mastite, per cercare di eliminare la stasi del latte che ha causato il disturbo e riposare il più possibile.
Capezzoli piatti o invertiti
La forma del capezzolo non influenza la capacità di allattare. In alcuni casi, il bambino può avere, inizialmente, qualche difficoltà ad attaccarsi, ma facendo attenzione alla posizione e all’attacco, l’allattamento può procedere senza ostacoli.
Se il neonato incontra difficoltà ad attaccarsi, potrebbe essere utile chiedere consiglio a personale esperto per individuare la posizione migliore e più efficace per attaccare correttamente il bambino al seno.
I paracapezzoli sarebbero l’ultima spiaggia, cioè da usare solo se proprio non si riesce a portare avanti una poppata corretta.
Svezzamento
Più che di svezzamento (che indica l’abbandono definitivo del latte materno o artificiale) si parla oggi di “alimentazione complementare”, cioè passaggio da un’alimentazione esclusiva a base di latte a una che prevede latte e altri alimenti.
Si tratta di un’integrazione necessaria, perché il latte materno, a partire dai 6-8 mesi, inizia ad essere gradualmente sempre meno completo per le necessità del piccolo. Con l’inserimento di altri alimenti, definiti quindi “complementari”, è possibile sopperire a tali carenze per garantire al bambino una nutrizione adeguata e una crescita corretta.
Con l’alimentazione complementare, l’allattamento materno dovrebbe continuare almeno fino ai 12 mesi.
Non è tuttavia opportuno avviare il piccolo allo svezzamento prima della fine del 6° mese. È infatti solo a partire da questo periodo che il bambino inizia a poter deglutire i cibi solidi, ad aprire la bocca per il cucchiaio o a girare il viso per rifiutarlo.
Fonti
- Ministero della Salute, Allattamento.
- World Health Organization, Breastfeeding.
- Unicef, Global Breastfeeding Collective.
- Istituto Superiore di Sanità, Allattamento.
- Società Italiana di Neonatologia (SIN), Raccomandazioni sull’allattamento materno per i nati a termine, di peso appropriato, sani.