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Si trova nel cervello l’interruttore che accende il senso di responsabilità: è un circuito neuronale situato tra il lobo frontale e quello parietale. È quanto afferma una ricerca pubblicata su Science Advances dai ricercatori del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Milano-Bicocca, in collaborazione con l’Irccs Istituto Ortopedico Galeazzi. Si tratta di una scoperta che permetterà di capire i meccanismi alla base di malattie neurologiche come la schizofrenia e la sindrome di Tourette.
Lo studio
Quali sono i meccanismi neurali che consentono di sentirci responsabili delle nostre azioni? È questo lo scopo della ricerca: comprendere quali sono le regioni del cervello associate al senso di responsabilità, o meglio al cosiddetto senso di agentività. Si tratta cioè della percezione di avere il controllo di un’azione e delle possibili conseguenze sull’ambiente esterno.
Senso di agentività
“Ad esempio”, scrive Laura Zapparoli, uno degli autori dello studio, “immaginiamo di entrare in una stanza al buio e di premere l’interruttore della luce. Quando poi la luce si accende – un evento che mi aspetto – percepisco di essere stato io a produrre questo effetto, specialmente se nessun altro è presente”.
Benché gran parte del funzionamento del nostro sistema motorio avvenga meccanicamente, noi “sappiamo” di essere i protagonisti del nostro comportamento. Inoltre, prevediamo e siamo consapevoli delle conseguenze delle nostre azioni, che pianifichiamo in base ai nostri obiettivi. La percezione di controllare volontariamente le nostre azioni, e quindi gli eventi del mondo esterno, è chiamato “senso di agentività”.
Responsabili prima di compiere un’azione
Per ricreare la sensazione di agentività, che mettiamo in atto quotidianamente, i ricercatori hanno sottoposto a 65 volontari un compito molto semplice. Dovevano, cioè, premere un pulsante, dopo aver ricevuto un segnale visivo (condizione attiva), oppure lasciare che fosse lo sperimentatore a premere il loro dito sullo stesso pulsante (condizione passiva). In entrambe le condizioni, premendo il pulsante si accendeva una lampadina sullo schermo di un computer. Quando ai volontari è stato quindi chiesto di giudicare l’intervallo temporale percepito tra l’azione (attiva o passiva) e la sua conseguenza, l’intervallo sembrava più breve a chi aveva attivamente premuto il pulsante. Lo scopo era misurare il cosiddetto intentional binding, che rileva il senso di agentività.
In altre parole, se i soggetti si sentono protagonisti di una determinata azione, valutano più breve l’intervallo temporale tra azione attiva ed effetti rispetto allo stesso intervallo percepito in una condizione passiva.
Intentional binding
Perché quando siamo impegnati, il tempo scorre più in fretta? Si tratta di un effetto psicologico associato alla sensazione di avere il controllo sull’azione che stiamo compiendo. Aspettando l’autobus o la fine di una noiosa riunione di lavoro il tempo non passa mai. Invece a cena con gli amici, a una festa o a un concerto, tempo scorre velocemente. La noia non c’entra: quando conosciamo la causa di un evento o siamo stati noi stessi a causarlo, le sue conseguenze sembrano arrivare più velocemente di quando non abbiamo il controllo della situazione. Questo è l’intentional binding.
La tecnica
Combinando la tecnica della risonanza magnetica funzionale (fMRI) con quella della stimolazione magnetica transcranica (TMS), i ricercatori hanno descritto i meccanismi neurali alla base di questo stato mentale.
In particolare, sono state identificate le aree del nostro cervello la cui attivazione varia in base al senso di agentività percepito: più i soggetti si sentivano “responsabili” della conseguenza prodotta dalla loro azione, maggiore era il livello di attivazione di tali regioni comprendenti parte del lobo frontale e del lobo parietale.
Quindi non solo è stato mappato il senso di agentività, ma afferma la Zapparoli “abbiamo dimostrato che è possibile modulare l’attività di queste aree, in maniera non invasiva attraverso la stimolazione magnetica transcranica e alterare così anche il senso di agentività”. Ovvero, interferire sul funzionamento delle regioni frontali può modificare la nostra esperienza di agentività. Potremmo quindi sentirci responsabili anche di conseguenze normalmente non attribuibili alle nostre azioni.
Un passo in più per comprendere la schizofrenia e la sindrome di Tourette
I risultati rappresentano pertanto un importante passo avanti per la comprensione dei meccanismi di base con cui il nostro cervello ci consente di muoverci e di agire sul mondo esterno, ma anche di sentirci responsabili di quello che facciamo.
Non solo, questi dati sono anche il punto di partenza per una maggiore comprensione di alcune patologie neurologiche come la schizofrenia o la sindrome Gilles de la Tourette. In questi casi, infatti,l’agentività è alterata dalla malattia. Ciò comporta manifestazioni comportamentali disfunzionali che rendono difficile l’inserimento sociale dei soggetti che ne soffrono. Nella schizofrenia, ad esempio, si osserva un fenomeno conosciuto come delusion of control. Le persone affette da questa malattia sostengono, cioè, di non essere responsabili delle loro azioni. Questo studio getta pertanto le basi per comprendere anche questi aspetti della patologia in cui il senso di agentività appare alterato.
Fonte: Università di Milano Bicocca
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